La Farmacogenetica ha un ruolo nel dosaggio degli antagonisti della vitamina K?

Un editoriale del “New England Journal of medicine” valuta tre lavori clinici randomizzati sul possibile ruolo della genetica nel dosaggio degli anticoagulanti e conclude che il rapporto costo/beneficio è ancora troppo elevato.

La vitamina K svolge un ruolo unico nella biologia umana, come cofattore per la sintesi dell’acido γ-carbossiglutammico. Questo aminoacido è un componente di almeno 14 proteine: 4 della coagulazione del sangue (fattore IX, fattore VII, fattore X e protrombina) e 2 regolatrici (proteina C e proteina S) ed è fondamentale per la funzione fisiologica di queste proteine. Gli esseri umani non sintetizzano la vitamina K, ma la introducono con la dieta.

Il ciclo della vitamina K può essere interrotto e prodotto uno stato di deficienza della vitamina K attraverso l’inibizione dell’enzima VKOR (vitamina K epossido-reduttasi) per mezzo degli inibitori della vitamina K, tra cui il warfarin.

L’obiettivo della terapia è mantenere l’INR (International Normalized Ratio) nell’intervallo terapeutico, dal momento che i pazienti con livelli inferiori sono a rischio di trombosi e i pazienti con livelli superiori sono esposti a rischio di emorragia.

Il warfarin si lega all’albumina e solo il 3% è libero e farmacologicamente attivo. Alcuni medicinali possono interagire con il warfarin, altri fattori interagenti in grado di modificarne livelli ematici ed effetti sono dieta, sesso, età e peso corporeo; inoltre, il metabolismo degli antagonisti della vitamina K sembra avere basi genetiche.

La sfida è comprendere se un approccio di tipo farmacogenetico può portare ad un dosaggio più puntuale e di conseguenza evitare al paziente il rischio di complicanze quali trombosi o emorragia.

Il “New England Journal of Medicine” ha recentemente pubblicato tre grandi studi clinici randomizzati, che vagliano quest’ipotesi [Kimmel SE, French B, Kasner SE, et al., A pharmacogenetic versus a clinical algorithm for warfarin dosing, N Engl J Med 2013;369:2283-93; Verhoef TI, Ragia G, de Boer A, et al., A randomized trial of genotype-guided dosing of acenocoumarol and phenprocoumon, N Engl J Med 2013;369:2304-12; Pirmohamed M, Burnside G, Eriksson N, et al., A randomized trial of genotype-guided dosing of warfarin. N Engl J Med 2013;369:2294-303]

Questi lavori esaminano l’inizio della terapia con gli antagonisti della vitamina K e misurano la percentuale di tempo in cui il paziente è all’interno dell’intervallo terapeutico, durante la fase iniziale del trattamento e, nonostante le differenze di disegno, i risultati a cui arrivano i tre studi sono simili.

Il loro limite è che prendono in considerazione la fase iniziale della terapia anticoagulante (la prima settimana) e non il medio e lungo termine e, quindi, non si pongono l’obiettivo di misurare il tasso delle complicanze trombotiche o emorragiche.

In secondo luogo, i tre lavori evidenziano che i test farmacogenetici hanno un’utilità nulla o marginale, tenendo anche conto degli elevati costi di tali test.

Aumentare la sicurezza dell’uso degli antagonisti della vitamina K rimane, comunque, un obiettivo importante. Probabilmente, si possono concentrare gli sforzi per migliorare la misurazione dell’INR, nel migliorare la comunicazione tra medico e paziente e nell’uso di algoritmi per mettere a punto il dosaggio, senza riferimento al genotipo; nell’aumentare l’aderenza del paziente alla terapia, eventualmente responsabilizzandolo nel dosaggio e aumentando la diligenza del personale sanitario nel monitoraggio e dosaggio, in riferimento all’INR, vista anche l’alta percentuale di complicanze dovute a questi farmaci anticoagulanti.

Bruce Furie, Do Pharmacogenetics Have a Role in the Dosing of Vitamin K Antagonists?, N Engl J Med 2013; 369: 2345-2346 December 12, 2013DOI: 10.1056/NEJMe1313682

LINK: http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMe1313682?query=featured_home

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