Il litio assunto attraverso l’allattamento al seno inibisce l’assorbimento dello iodio nella tiroide e la produzione dell’ormone tiroideo, che può essere corretto con una supplementazione materna dello iodio

Introduzione

Oggi la Depressione Bipolare è una delle patologie psichiatriche più rilevanti e il post-partum è un periodo in cui si è riscontrata un’elevata incidenza di recidive (66% senza terapia contro un 38% in terapia con litio). Il litio rappresenta la terapia più adeguata nella maggior parte dei casi; tale terapia, a lungo termine, può provocare delle compromissioni d’organo, come la riduzione della funzione tiroidea e danni al parenchima renale.

In assenza di dati consistenti, alcune linee guida scoraggiano la somministrazione del litio durante l’allattamento o, nel caso venga somministrato, pongono l’attenzione sulla necessità di un suo attento monitoraggio mensile; infatti, è stata notata, nel neonato, una transitoria alterazione della stimolazione tiroidea, un aumento dell’azotemia e della creatinina; per questo, alcune madri, preferiscono l’allattamento con latte in formula. 

Sono pochi i dati ricavati dai neonati allattati da madri in terapia con litio, per cui gli autori hanno costruito un modello animale che potesse essere il più possibile rappresentativo dell’uomo. 

Metodi

Il campione dello studio  è costituito da 312 ratti così suddiviso: 26 madri, 12 figli per ogni madre (distribuiti in egual numero tra maschi e femmine, scegliendo quelli di peso maggiore). Le 26 madri sono così suddivise: alla diciottesima giornata post partum furono selezionate 18 madri (7 controlli, 7 in terapia con litio,  4 in terapia con litio che hanno ricevuto una supplementazione di iodio); alla venticinquesima giornata post-partum furono selezionate 6 madri (3 controlli, 3 in terapia con litio); alla sessantesima giornata post-partum furono selezionate due madri (1 controllo, 1 in terapia con litio). Per ogni madre vennero studiati i corrispettivi figli.

Lo studio prende in considerazione vari parametri, nelle madri: concentrazione del  litio nel sangue (attraverso la spettrometria ad induzione di massa) e nel latte (attraverso la spettroscopia ad emissione laser);  nei neonati:  concentrazione ematica del litio, funzionalità tiroidea (T4, Ft3, Ft4, TSH, tireoglobulina) e renale  (BUN) e l’immunoistochimica furono richiesti al diciottesimo (P18), venticinquesimo (P25) e sessantesimo (P30) giorno post-partum; furono ricercati: litio, iodio, sodio, potassio e calcio nella tiroide e nel cervello, durante e poco dopo il periodo dell’allattamento; fu monitorato il peso corporeo.

Nelle madri il litio fu somministrato ad una concentrazione pari a 1000 mg/50 kg di peso corporeo, al fine di raggiungere una concentrazione plasmatica di circa 0,5 mmol/L; lo Iodio fu somministrato ad una concentrazione tra i 2 e i 3 mg al giorno.

Risultati

Il confronto fra i gruppi mostra come nel torrente ematico il litio scompaia rapidamente dopo la fine dell’allattamento (0.075±0.03 al P18 contro un valore non rilevabile intorno al P21); i topi  da madri in terapia con litio ebbero un aumento del peso statisticamente significativo rispetto ai controlli al  P18 (42,5 ± 5,51 contro 40,31 ± 3,74 g, p <0,05) mentre sebbene il peso al  P25 e P60 fosse superiore nei trattati rispetto ai controlli, questo dato non fu statisticamente significativo.

Il BUN misurato al giorno 18 ebbe un incremento statisticamente significativo tra quello misurato nei trattati rispetto ai controlli (6,71 ± 0,27 contro 5,25 ± 0,49 mmol/L, p<0,05); mentre dopo lo svezzamento tale differenza scomparì.

Il confronto tra i livelli ematici di T4 tra il gruppo dei trattati e dei non trattati è risultato statisticamente significativo per una riduzione dei suoi valori al P18 (67,2 ± 5,21 contro 93,41 ± 10,60 mmol/L, p<0,05) e al P25 (40,06 ± 5,79 contro 52,61 ± 3,03, p <0,05), mentre la differenza al P60 non fu statisticamente significativa. Non appare statisticamente significativa tra i due gruppi la differenza per Ft3 e Ft4. L’aumento del TSH nei trattati rispetto ai non trattati suggerisce che il litio possa inibire la fuoriuscita degli ormoni tiroidei.

Lo studio degli estratti tiroidei con LIBS e XRF ha evidenziato la presenza del litio sia al P18 che al P25 nei trattati; mentre agli stessi tempi le onde di emissione per lo iodio risultarono significativamente ridotte.

Il confronto di sezioni di ghiandola tiroidea tra trattati e controlli mostrò una differenza statisticamente significativa tra le concentrazioni di tireoglobulina (più alta nei trattati).

Assodato che nel neonato il litio altera la funzionalità di alcuni organi, gli autori vollero vedere se la supplementazione di iodio alla dieta materna, durante l’allattamento, potesse portare qualche beneficio; considerato il gruppo degli esposti al litio e alla supplementazione di Iodio versus i soli esposti al litio si notò un aumento statisticamente significativo del T4 nel primo gruppo rispetto al secondo (85,6 ± 8,32 contro 67,2 ± 5,21 nmol/L, p < 0,05).

Sezioni di tessuto tiroideo hanno ricalcato tali dati mostrando al P18, una più alta densità ottica della tireoglobulina rispetto ai controlli e rispetto ai neonati di madri che hanno ricevuto una supplementazione di iodio. Infine, venne studiata la permanenza del Litio nella corteccia frontale, rilevando la sua presenza al P18 e ancora al P25.

Conclusioni

Questo studio dà nuova luce ai meccanismi con cui il litio interferisce sulla funzione tiroidea, renale e sull’accumulo nel cervello dei neonati allattati da madri che fanno uso del farmaco, quali: ipotiroidismo, compromissione renale, accumulo nel cervello; senza, però, apparenti conseguenze sullo sviluppo. Inoltre, viene verificato come la supplementazione dello iodio, in queste madri, porti beneficio nella prole con un aumento della concentrazione del T4 e una riduzione della tireoglobulina con livelli simili ai controlli. Studi futuri dovranno testare l’efficacia della supplementazione dello iodio nell’uomo.

Bibliogafia

Irfan Ahmed, Victor Ma, Yuanchao Liu, Muhammad Shehzad Khan, Zhenhui Liu, Chi Zhang, Santosh Kumar Paidi, Francis A. M. Manno, Noreen Amjad, Sinai H. C. Manno, Rafay Ahmed, Alan W. L. Law, Ahmed Ali, Faizan Raza, Yanpeng Zhang, William C. S Cho, Ishan Barman, Martin Alda, Veerle Bergink, Condon Lau. Lithium from breast-milk inhibits thyroid iodine uptake and hormone production, which are remedied by maternal iodine supplementation. Bipolar Disorder 2021 Jan 28 PMID: 33507599

È possibile leggere qui l’abstract dell’articolo.

Interazioni farmacologiche in pazienti anziani o con problemi mentali

Introduzione

L’uso inappropriato di farmaci nei pazienti anziani o con problemi mentali è stato associato a reazioni avverse a farmaci (ADR), interazioni tra farmaci, maggiore mortalità, aumento del numero delle visite a carico del servizio sanitario, e conseguentemente aumento dei costi sul sistema sanitario. Inoltre, è stato individuato un aumentato rischio di sviluppare il morbo di Alzheimer a causa di prescrizioni errate di farmaci.

Nonostante il problema della sicurezza legata alla prescrizione errata di farmaci sia ben documentata, la prescrizione dei farmaci nei pazienti anziani, in generale, e nei pazienti con disturbi mentali non viene presa in adeguata considerazione.

Ci sono diversi strumenti che sono stati sviluppati per identificare farmaci prescritti inappropriatamente e per guidare la pratica clinica, tuttavia poco è noto riguardo alle interazioni tra farmaci e alle reazioni avverse a farmaci (ADR), prescritti a pazienti con problemi mentali e comportamentali, e non ci sono revisioni sistematiche che se ne siano occupate.

Perciò, considerando la frequente prescrizione e l’uso inappropriato di farmaci, specialmente riguardanti il sistema nervoso centrale, e considerando che i disturbi mentali possono aumentare l’incidenza delle ADR, è stata condotta una revisione sistematica allo scopo di caratterizzare tali comportamenti prescrittivi nei pazienti anziani e con disturbo mentale.

Metodi

Questa revisione sistematica ha incluso lavori che hanno studiato e/o validato strumenti (criteria-based tools) basati su specifici criteri per la valutazione della prescrizione di farmaci potenzialmente inappropriati, per persone anziane e con disturbi mentali e del comportamento. La ricerca è stata condotta su PubMed e Scopus a febbraio del 2020.

Risultati

In questa revisione sistematica sono stati identificati 36 strumenti che hanno evidenziato 151 interazioni tra farmaci potenzialmente inappropriati nei pazienti con disturbi mentali o del comportamento. Inoltre, sono state individuate 132 potenziali prescrizioni errate con potenziali controindicazioni nei soggetti con malattie mentali e disturbi del comportamento.

Gli effetti collaterali più frequenti sono stati la demenza e i disturbi cognitivi, mentre le classi di farmaci più riportate aventi avuto interazioni tra farmaci sono stati gli antipsicotici, gli anticolinergici e le benzodiazepine, che potrebbero costituire un rischio di peggioramento dei disturbi cognitivi, del delirium, e della demenza o un aumento della mortalità e dell’incidenza di ictus.

Conclusioni

In questa revisione si raccomanda ai clinici un processo ragionato di deprescrizione, una revisione dei farmaci prescritti, e un migliore monitoraggio delle possibili reazioni avverse a farmaci (ADR).

Bibliografia

Forgerini M, Schiavo G, Lucchetta RC, Mastroianni PC. Drug interactions for elderly people with mental and behavioral disorders: a systematic scoping review. Arch Gerontol Geriatr. 2021 Mar-Apr;93:104283. doi: 10.1016/j.archger.2020.104283. Qui è possibile leggere l’abstract dell’articolo originale.

La psicofarmacologia nella gestione dei pazienti con COVID-19

Con la rapida diffusione globale di “Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus 2 (SARS-CoV-2)”, gli ospedali sono stati inondati di pazienti affetti da infezione da COVID-19.

Il diffondersi della pandemia ha visto emergere tra le varie complicanze dei soggetti con COVID-19 anche quelle psichiatriche, cosicché gli psichiatri sono frequentemente chiamati in causa per la gestione delle condizioni di questi pazienti, trovandosi spesso ad affrontare scenari clinici impegnativi di molteplici comorbidità mediche e farmaci sconosciuti. L’unico farmaco approvato dalla agenzia regolatoria americana (Food and Drug Administration, FDA) per il trattamento del COVID-19 è il remdesivir, e altri farmaci off-label usati includono clorochina e idrossiclorochina, tocilizumab, lopinavir / ritonavir, favipiravir, terapia plasmatica di convalescenza, azitromicina, vitamina C, corticosteroidi, interferone, e colchicina.

Data la letteratura limitata in questo settore, è stata eseguita una revisione mirata, in cui sono state condotte ricerche di letteratura strutturata su PubMed per identificare articoli che descrivono l’impatto di COVID-19 su diversi sistemi di organi, gli effetti avversi neuropsichiatrici dei trattamenti e qualsiasi potenziale interazione farmacologica con psicotropi, con l’obiettivo di fornire una panoramica delle principali considerazioni sulla sicurezza rilevanti per i medici che prescrivono psicotropi a pazienti con COVID-19, sia in relazione alla malattia che ai trattamenti proposti.

Da tale ricerca è emerso che COVID-19 influisce su più organi, inclusi fegato, reni, polmoni e cuore, nonché sui sistemi immunitario ed ematologico.  Il danno a questi organi o sistemi può portare a cambiamenti farmacocinetici che influenzano l’assorbimento, la distribuzione, il metabolismo e / o l’escrezione di farmaci psicotropi, nonché una maggiore sensibilità a determinati effetti avversi psicotropi.

Inoltre, diversi trattamenti proposti per COVID-19 hanno effetti neuropsichiatrici e potenziali interazioni con psicotropi comunemente usati. Ciò può avere implicazioni sulla sicurezza per l’uso di psicotropi, che sono altamente metabolizzati dal sistema epatico del citocromo p450 e portano il loro potenziale di interazioni farmacologiche ed effetti avversi sugli organi terminali.

Pertanto, gli psichiatri dovrebbero familiarizzare con il meccanismo d’azione di questi trattamenti, gli effetti collaterali neuropsichiatrici e le possibili interazioni con gli psicotropi. Inoltre, poiché COVID-19 colpisce più sistemi d’organo, gli psichiatri dovranno essere consapevoli dei problemi di sicurezza inerenti alla prescrizione di psicotropi a questi pazienti.

Sebbene non ci siano controindicazioni assolute all’uso di psicotropi nei pazienti con COVID-19, gli psichiatri devono tenere conto dei potenziali effetti avversi, nonché della potenziale necessità di apportare modifiche ai regimi terapeutici esistenti o evitare di utilizzare determinati agenti psicotropi se sorgono tali problemi di sicurezza, e condurre un’analisi ponderata del rapporto rischio-beneficio come parte del loro processo decisionale clinico.

Altri compiti importanti per lo psichiatra che tratta un paziente con COVID-19 includono la revisione di tutti i farmaci, il monitoraggio degli effetti collaterali neuropsichiatrici di farmaci come l’idrossiclorochina o i corticosteroidi e la differenziazione tra sintomi psichiatrici primari rispetto a quelli secondari a COVID-19 o altri farmaci.

È interessante notare che diversi psicotropi, tra cui aloperidolo e acido valproico, sono stati recentemente nominati in un elenco di farmaci approvati dalla FDA con un potenziale di azione in vitro contro SARS-CoV-2.

La fluvoxamina è anche oggetto di studio per la sua capacità di ridurre la risposta infiammatoria durante la sepsi inibendo la produzione di citochine e la melatonina per le sue proprietà antiossidanti e antinfiammatorie.  Se saranno disponibili più dati, gli psichiatri potrebbero considerare l’utilizzo preferenziale di questi agenti se clinicamente appropriato.

L’articolo illustra nello specifico le possibili complicanze da COVID-19 a livello dei vari organi e apparati, e gli effetti neuropsichiatrici dei vari trattamenti proposti per contrastare l’infezione da SARS-CoV-2, nonchè gli agenti psicotropi su cui occorre prestare cautela nell’eventuale somministrazione in considerazione di tali effetti.

In conclusione, i medici dovrebbero essere consapevoli della necessità di aggiustare i dosaggi dei farmaci psicotropi quando presenti in terapia o di evitare l’uso di determinati farmaci in alcuni pazienti con COVID-19, e, d’altra parte, avere familiarità con gli effetti neuropsichiatrici dei farmaci usati per trattare questa malattia. Sono necessarie ulteriori ricerche per identificare strategie per gestire i problemi psichiatrici in questa popolazione.

Bibliografia

  1. Melanie Bilbul, M.D., C.M., F.R.C.P.(C), Patricia Paparone, M.D., Anna M. Kim, M.D., Shruti Mutalik, M.D., Carrie L. Ernst, M.D., Psychopharmacology of COVID-19. Psychosomatics 2020 September/October, 61(5): 411–427. doi: 10.1016/j.psym.2020.05.006

Monitoraggio terapeutico di bambini e adolescenti trattati con aripiprazolo

L’aripiprazolo, un antipsicotico di terza generazione che agisce come agonista parziale dei recettori dopaminergici D2 e 5-idrossitriptamina (5-HT) 1A, è approvato in Europa per il trattamento di pazienti con schizofrenia di età superiore ai 15 anni, così come per episodi maniacali negli adolescenti di età superiore ai 13 anni. Nella pratica clinica quotidiana, l’aripiprazolo è anche usato in pazienti con vari altri disturbi psichiatrici come disturbi da tic e sindrome di Tourette, disturbi dello spettro autistico e disturbi dirompenti con spiccato fenotipo comportamentale impulsivo.

Sebbene l’aripiprazolo sia uno degli antipsicotici più utilizzati, la conoscenza delle concentrazioni sieriche nei bambini e negli adolescenti è scarsa e non sono stati ancora stabiliti intervalli terapeutici specifici per età. A causa di queste incertezze, il monitoraggio terapeutico dei farmaci (TDM) è fortemente consigliato per il trattamento di bambini e adolescenti con farmaci psicotropi come l’aripiprazolo

A tal fine sono stati analizzati i dati di un servizio di monitoraggio di farmaci terapeutici di routine per valutare la relazione tra dose e concentrazione sierica di aripiprazolo in bambini e adolescenti, nonché le caratteristiche dei pazienti che possono influenzarla. Lo studio mirava anche a valutare se l’intervallo terapeutico di riferimento definito per gli adulti con schizofrenia (100–350 ng / ml) fosse valido e applicabile per bambini e adolescenti. Tutti i pazienti che avevano una valutazione TDM durante il trattamento farmacologico con aripiprazolo sono stati inclusi indipendentemente dalla diagnosi o dall’impostazione del trattamento (pazienti ricoverati, ambulatoriali, in unità diurna). I pazienti sono stati esclusi dallo studio se le condizioni allo stato stazionario per il prelievo di sangue non erano soddisfatte, mancavano dati rilevanti (ad es. dosaggio di aripiprazolo, informazioni rilevanti sul paziente) o se sono stati rilevati o non è stato possibile escludere problemi di compliance. Sono stati valutati i dati di 130 pazienti (di età compresa tra 7 e 19 anni) trattati con aripiprazolo per indicazioni diverse a dosi di 2-30 mg / die. Le caratteristiche del paziente, le dosi, le concentrazioni sieriche e il risultato terapeutico sono stati valutati mediante misure standardizzate.

È stata trovata una correlazione media positiva tra la dose giornaliera corretta in base al peso corporeo e la concentrazione di aripiprazolo, con un’elevata variabilità interindividuale nei livelli sierici. Le analisi di regressione lineare hanno rivelato che i livelli sierici di aripiprazolo influenzati in modo significativo dal sesso, con concentrazioni sostanzialmente maggiori nelle ragazze rispetto ai ragazzi (244,9 contro 173,4 mg / l). Le concentrazioni sieriche del presente campione pediatrico sono state quindi confrontate con il livello di riferimento per gli adulti. Circa il 70% di tutte le concentrazioni sieriche misurate rientrava nell’intervallo terapeutico raccomandato per gli adulti. Infine, calcolando un intervallo di riferimento terapeutico preliminare di aripiprazolo per bambini e adolescenti, i nostri dati suggeriscono una concentrazione terapeutica simile a quella stabilita per i pazienti adulti con schizofrenia.

Le reazioni avverse erano molto comuni e sono state osservate in quasi un paziente su due (48,8%). Tuttavia, la maggior parte delle ADR (55,9%) è stata classificata come “lieve” e solo il 3,4% come “grave”.

Sedazione e sonnolenza sono state le reazioni avverse segnalate più frequentemente osservate nel 25,4% dei pazienti e costituivano il 40,7% di tutti i sintomi di ADR segnalati. Altre ADR come l’aumento di peso sono state documentate nel 17,3%, seguite da una sensazione interiore di tensione e agitazione nel 13,6% e sintomi extrapiramidali nel 7,7% dei pazienti affetti da ADR. L’ipersalivazione è stata segnalata nel 6,2%, problemi di adattamento nel 4,9%, disturbi gastrointestinali nel 2,5%, disturbi cardiovascolari e dermatologici nell’1,2% dei pazienti affetti. Nel gruppo di pazienti con ADR, il 55,9% delle ADR è stato classificato come “lieve”, il 40,7% come “moderato” e il 3,4% come “grave”.

In conclusione, considerando i parametri farmacocinetici individuali, il TDM fornisce uno strumento di farmacovigilanza efficace nella popolazione pediatrica. Se confermati in campioni più grandi e disegni di studio più controllati, questi dati possono contribuire alla definizione di un intervallo terapeutico delle concentrazioni di aripiprazolo nei bambini e negli adolescenti.

Bibliografia

  1. Karin Egberts, Su‑Yin Reuter‑Dang, Stefanie Fekete, Christine Kulpok, Claudia Mehler‑Wex, Christoph Wewetzer, Andreas Karwautz, Michaela Mitterer, Kristian Holtkamp, Isabel Boege
    Rainer Burger, Marcel Romanos, Manfred Gerlach, Regina Taurines, Therapeutic drug monitoring of children and adolescents treate with aripiprazole: observational results from routine patient care. Journal of Neural Transmission, 2020 Sep 30. doi: 10.1007/s00702-020-02253-4

Rischio di ospedalizzazione associato con benzodiazepine e z-drugs in Italia: studio multicentrico nei dipartimenti di emergenza.

Introduzione. L’uso inappropriato di benzodiazepine e z-drugs può causare l’insorgenza di eventi avversi che richiedono visite nei dipartimenti di emergenza. Il presente studio ha avuto come obiettivo quello di descrivere le caratteristiche degli eventi avversi correlati all’uso dei BDZ e ZD che hanno condotto a visite e ospedalizzazioni in Italia.

Metodi. Sono stati monitorati 92 dipartimenti di emergenza italiani prendendo in considerazione un periodo tra il 2007 e il 2018. E’ stato calcolato il tasso di visita nei dipartimenti di Emergenza e di ospedalizzazione. La regressione logistica multi-variata è stata usata per stimare l’odd ratio di segnalazione (Reporting odds ratios – RORs) riguardante l’ospedalizzazione. La regressione univariata lineare è stata condotta per valutare il ROR di ospedalizzazione secondo l’emivita plasmatica dei farmaci sospetti.

Risultati. Sono state raccolte un totale di 3203 schede di segnalazione di eventi avversi. Complessivamente, la regressione logistica multivariata ha mostrato che il rischio di ospedalizzazione era più alto per prazepam (3.26 [1.31–8.11]), flurazepam (1.62 [1.15–2.27]) e lorazepam (1.36 [1.15–1.61]). Tra gli anziani, questo rischio era più alto per il prazepam (3.98 [1.03–15.3]) e lorazepam (1.58 [1.19–2.11]). Formulazioni parenterali e rettali erano associate con un più basso rischio di ospedalizzazione paragonato a formulazioni orali.

Conclusioni. I risultati trovati sottolineano il rischio dell’uso di BDZ e ZD in Italia, in particolare in donne e adulti anziani. I clinici dei dipartimenti di emergenza devono sempre tenere in considerazione il più alto rischio in termini di ospedalizzazione correlati all’uso di BDZ e ZD. Il maggior rischio riguarda sopratutto le formulazioni orali, i soggetti esposti a più di un sedativo ipnotico e i pazienti esposti a composti con emivita plasmatica intermedia o lunga.

Bibliografia.

Lombardi N, Bettiol A, Crescioli G, et al. Risk of hospitalisation associated with benzodiazepines and z-drugs in Italy: a nationwide multicentre study in emergency departments [published online ahead of print, 2020 Apr 24]. Intern Emerg Med. L’abstract dell’articolo è presente qui.

Evidenza attuale sull’abuso e il misuso dei gabapentinoidi.

La presente revisione della letteratura riassume l’evidenza attuale riguardo al potenziale di abuso e misuso dei gabapentinoidi, pregabalin e gabapentin.

Sono stati raccolti dati provenienti da studi di farmacovigilanza, studi basati sui registri, questionari, studi di tossicologia clinica. Sono stati analizzati con l’obiettivo di definire il problema dell’abuso e misuso dei gabapentinoidi, identificare i fattori di rischio e discutere i possibili metodi per ridurre il potenziale di abuso e misuso. Vi sono studi che hanno trovato che i gabapentinoidi possiedono un potenziale di abuso e misuso e che individui con una storia di disturbo psichiatrico o un disturbo da uso di sostanza sembrano essere ad alto rischio.

Inoltre, alcune evidenze supportano la nozione che i pazienti che presentano uno disturbo da uso di oppioidi potrebbero essere a maggior rischio di abusare dei gabapentinoidi. Le evidenze disponibili suggeriscono inoltre che l’abuso o il misuso sono più frequenti in coloro che utilizzano il pregabalin rispetto a quelli che usano gabapentin. I professionisti sanitari e i prescrittori dovrebbero essere consapevoli del rischio di misuso del pregabalin e del gabapentin, che potrebbe portare ad abuso di sostanza, dipendenza da sostanza e intossicazione.

I medici prescrittori che trattano pazienti che appartengono a popolazioni a rischio in particolare quelle con disturbi psichiatrici, disturbo da uso di sostanze dovrebbero evitare per quanto possibile di prescrivere pragabalin e gabapentin, e se dovessero prescriverli, dovrebbero monitorare attentamente gli eventuali segni di abuso e misuso in modo da intervenire prontamente per evitare ulteriori danni.

Bigliografia.

Hägg, S., Jönsson, A.K. & Ahlner, J. Current Evidence on Abuse and Misuse of Gabapentinoids. Drug Saf (2020). Leggi l’articolo completo qui.

Lumateperone: antipsicotico con ridotti effetti avversi metabolici di risperidone

Un nuovo farmaco antipsicotico atipico, in fase di sperimentazione clinica in Europa per il trattamento della schizofrenia, mostra un miglior profilo di sicurezza rispetto a risperidone in merito alla capacità di causare o peggiorare la sindrome metabolica. Anche se negli USA è già un farmaco approvato da FDA, rimane ancora da stabilire la superiorità rispetto alle cure attuali da parte delle autorità Europee.

 

 

Studio italiano sulle interazioni farmacocinetiche di interesse clinico tra anticoagulanti orali diretti e farmaci antiepilettici

Un rilevante studio italiano ha valutato in modo originale le interazioni farmacocinetiche tra anticoagulanti orali diretti e farmaci antiepilettici suggerendo che esistono ragioni a sufficienza per dover conoscere tali meccanismi nella pratica clinica con i pazienti che li utilizzano.

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