Uso degli inibitori di pompa protonica e rischio di infarto miocardico nella popolazione generale

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Il lavoro utilizza un nuovo approccio di data-mining  per l’estrazione dei dati clinici per la farmacovigilanza.

 

 

 

 

L’indicazione principale per gli inibitori della pompa protonica (IPP) è la malattia da reflusso gastroesofageo (GERD).

Si stima che, ogni anno, nel mondo, siano compilati oltre 113 milioni di prescrizioni di IPP; considerando anche l’uso senza ricetta (over-the-counter), è stata stimata una spesa mondiale di circa 13 miliardi dollari.

Nei soli Stati Uniti (2009) circa 21 milioni di persone hanno avuto una o più prescrizioni di IPP, il che pone gli inibitori della pompa protonica al terzo posto, tra i farmaci più venduti nel paese e la disponibilità degli IPP come farmaci da banco è preoccupante per l’assenza di controllo medico.

Per gli individui con una storia di sindrome coronarica acuta (SCA), gli IPP sembrano ridurre l’efficacia del clopidogrel, un agente antipiastrinico utilizzato per ridurre il rischio di successivi eventi ischemici.

Ci sono diverse teorie concorrenti riguardo se e come gli IPP diminuiscano il rischio di eventi avversi cardiovascolari maggiori (MACE) tra gli individui con una storia di SCA.  L’ipotesi principale è che gli IPP competano e inibiscano l’isoenzima epatico CYP2C19, che è responsabile dell’attivazione del clopidogrel, interferendo così con la capacità del clopidogrel di prevenire la formazione di trombi nei soggetti a rischio di trombosi coronarica e infarto miocardico.

Alcuni studi hanno associato comunque l’uso degli IPP ad eventi clinici avversi in popolazioni ad alto rischio cardiovascolare,  indipendentemente dall’uso del clopidogrel. Ad esempio, è stata osservata una riduzione del beneficio terapeutico anche in pazienti con sindrome coronarica acuta trattati con farmaci antiaggreganti piastrinici come aspirina e ticagrelor, che non necessitano dell’attivazione da parte del CYP2C19.

È possibile che gli IPP  riducano l’assorbimento di questi farmaci, ma si tratta di un’ipotesi controversa, dato che è stato dimostrato che non diminuiscono le proprietà antiaggreganti dell’aspirina ed è importante notare che una simile riduzione del pH gastrico è ottenuta anche con gli H2 bloccanti, che hanno dimostrato di non aumentare il rischio cardiovascolare.

Una spiegazione alternativa è che il rischio correlato all’uso degli IPP sia dovuto a meccanismi d’azione ancora non noti e comunque non esclusivi dei pazienti vasculopatici. A questo proposito, è stato recentemente riportato che gli IPP inibiscono l’attività enzimatica della dimetilarginina dimetilaminoidrolasi (DDAH), che è responsabile per l’80% dell’idrolisi della  dimetilarginina asimmetrica (ADMA), una molecola endogena nota per inibire l’attività enzimatica dell’ossido nitrico sintasi (NOS). Una perdita di valore nel NOS endoteliale è nota per aumentare la resistenza vascolare e promuovere infiammazione e trombosi. L’ADMA è risultato essere un marcatore di malattia potente e predittore indipendente di MACE, in precedenti studi osservazionali. Recenti studi pre-clinici hanno scoperto che gli IPP aumentano i livelli di ADMA in cellule endoteliali umane e nei topi di circa il 20-30%.

Ad oggi, un solo studio ha esaminato  il rischio cardiovascolare degli IPP al di fuori di coorti ad alto rischio. Questa è una preoccupazione dato che l’analisi traslazionale suggerisce che il rischio di questi farmaci può applicarsi ai soggetti che non assumono farmaci antiaggreganti piastrinici e a quelli senza alcuna malattia vascolare.

Pertanto, gli autori di questo lavoro hanno utilizzato una metodologia di data-mining su cartelle cliniche  elettroniche, recentemente convalidata per la farmacovigilanza e hanno realizzato uno studio di coorte prospettico, per indagare la possibilità che gli IPP possano essere associati a rischio cardiovascolare nella popolazione generale degli Stati Uniti.

 

Background e Obiettivi

Gli inibitori della pompa protonica (IPP) sono stati associati ad eventi clinici avversi tra gli utenti di clopidogrel dopo una sindrome coronarica acuta. Recenti risultati pre-clinici suggeriscono che questo rischio possa estendersi a soggetti senza una precedente storia di malattia cardiovascolare.

Gli autori esplorano questo potenziale rischio nella popolazione generale attraverso approcci di data mining.

 

Metodi

Utilizzando un nuovo approccio per l’estrazione dei dati clinici per la farmacovigilanza, sono stati indagati più di 16 milioni di documenti clinici relativi a 2,9 milioni di persone per verificare se l’uso degli  IPP era associato al rischio cardiovascolare nella popolazione generale.

 

Risultati

In dati  provenienti da molteplici fonti, è risultato che i pazienti con malattia da reflusso gastroesofageo (GERD) esposti a IPP avevano un’associazione ad infarto del miocardio 1,16 volte maggiore (IC 95% 1,09-1,24).

L’analisi di sopravvivenza in una coorte prospettica ha trovato un aumento (HR = 2.00; IC 95% 1,07-3,78; P = 0.031) in associazione con la mortalità cardiovascolare.

È risultato che questa associazione esiste a prescindere dall’uso del clopidogrel.

È risultato che, invece, gli anti-H2, un trattamento alternativo per la GERD, non erano associati ad aumento del rischio cardiovascolare.

Se fossero stati in uso gli algoritmi della farmacovigilanza, avrebbero potuto segnalare tale rischio già a partire dal 2000.

 

Conclusioni

Coerentemente con i risultati pre-clinici secondo i quali gli IPP possono avere effetti negativi sulla funzione vascolare, lo studio di data mining sostiene l’associazione tra l’esposizione agli IPP ed il rischio di infarto miocardico nella popolazione generale. Questi dati forniscono un esempio di come una combinazione di studi sperimentali e approcci di data-mining possono essere applicati per individuare in anticipo i segnali di sicurezza dei farmaci per ulteriori indagini.

 

 

NH Shah, P LePendu, A Bauer-Mehren, YT Ghebremariam, SV Iyer, J Marcus, KT Nead, JP Cooke, NJ Leeper

Proton Pump Inhibitor Usage and the Risk of Myocardial Infarction in the General Population

DOI: 10.1371/journal.pone.0124653

 

Link: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4462578/

 

http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0124653

 

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