Rischio-beneficio di Vedolizumab nel trattamento di morbo di Crohn e Colite Ulcerosa

Drug Safety

Dal 2014 è disponibile un secondo farmaco biologico della classe delle anti-integrine per il trattamento delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali: vedolizumab. A distanza di 5 anni dalla commercializzazione siamo in grado fare una prima stima del rapporto rischio/beneficio.

 

 

 

 

La malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI), che comprendono la Colite Ulcerosa (CU) e il morbo di Crohn (MC), interessano fasce di popolazione relativamente giovani, e incidono pesantemente sulla qualità di vita.

Non esiste un trattamento eziologico, pertanto attualmente la terapia è volta principalmente a tenere sotto controllo il processo infiammatorio alla base della malattia, quindi trattare le eventuali complicanze e comorbidità.

Nella CU si utilizza un approccio terapeutico sequenziale a base di agenti antinfiammatori quali aminosalicilati, corticosteroidi, antagonisti del tumor necrosi factor α (TNF-α) e l’inibitore di JAK1/3 tofacitinib.
Parallelamente, le linee guida raccomandano l’utilizzo precoce, nei pazienti ad alto rischio, dei trattamenti più recenti e mirati, a base di farmaci biologici quali antagonisti del TNF, anti-integrine, oppure l’antagonista di IL-12/23, ustekinumab, in monoterapia oppure associati ad altri immunosoppressori quali tiopurine o metotressato.

Purtroppo, il 40% dei pazienti non risponde agli anti-TNF, mentre un 46% dei pazienti con iniziale risposta finiscono secondariamente per perderla. Oltretutto tutti questi agenti che agiscono sul sistema immunitario, inclusi i farmaci tradizionali, sono associati ad un importante rischio di infezioni gravi.

Da ciò è nata la necessità di agenti alternativi, come ad esempio i farmaci anti-integrine, tra cui natalizumab vedolizumab.
Il primo risulta però associato a un evento avverso piuttosto raro ma molto grave: la leucoencefalopatia multifocale progressiva (LMP), una malattia di origine virale innescata dal fatto che il farmaco, inibendo la risposta immunitaria delle cellule T, determina una proliferazione incontrollata del virus a livello del SNC.
Vedolizumab, al contrario, grazie a un meccanismo d’azione leggermente diverso, legato a un diverso sito di ancoraggio sulle proteine di membrana delle cellule T, non è in grado di alterare quei meccanismi che sottendono alla genesi della LMP, pur mantenendo analoga efficacia terapeutica.

Vedolizumab è stato approvato nel 2014 dall’European Medicines Agency per il trattamento di CU e MC da moderati a gravi. È attualmente raccomandato come farmaco biologico di prima linea nel pazienti che non rispondono agli antagonisti del TNF.

Una recente review ha preso in considerazione tutti gli studi effettuati su vedolizumab, sia in fase pre- che post-marketing, volti a valutarne efficacia e/o sicurezza.
Emerge che vedolizumab è efficace nell’induzione e nel mantenimento della remissione clinica sia nella CU che nel MC, come terapia di prima linea così come in seguito al fallimento di altri agenti terapeutici. Dato che la sicurezza di questo farmaco è comparabile al placebo, esso presenta un indice terapeutico migliore rispetto ad altre terapie avanzate per le MICI.

Questo farmaco risulta quindi estremamente promettente, saranno però necessari ulteriori studi per valutare l’efficacia di vedolizumab ponendolo in confronto con le altre terapie disponibili; mancano inoltre dati riguardo al ruolo di vedolizumab somministrato in combinazione con altro farmaci biologici, così come nel trattamento di specifici sottotipi clinici del morbo di Crohn.

 

Battat R. et al. “Benefit–Risk Assessment of Vedolizumab in the Treatment of Crohn’s Disease and Ulcerative Colitis”
Drug Safety, 2019. https://doi.org/10.1007/s40264-018-00783-1

 

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