La fragilità dell’anziano e la sicurezza dei farmaci

Drug Safety

Il concetto di “fragilità” del paziente, condizione che si manifesta e spesso si identifica con l’erà avanzata, ma legata anche a numerose altre condizioni patologiche e ambientali, ha una natura sfuggevole: tutti sappiamo di cosa si tratta, ma ancora non è stato trovato un sistema per integrarlo nella pratica clinica.

 

 

 

 

Le persone di età superiore agli 80 anni rappresentano la fascia di popolazione a più rapida crescita nella maggior parte dei paesi ad alto reddito. Questo pone sfide significative, tra le tante cose, anche in tema di sicurezza dei farmaci. Gli anziani sono altamente esposti ai rischi legati alle terapie farmacologiche: il 40% degli anziani non istituzionalizzati negli Stati Uniti assumono cinque o più farmaci da prescrizione, spesso per periodi di tempo significativi. La percentuale aumenta considerevolmente nelle persone che necessitano di assistenza domiciliare.

Purtroppo, l’evidenza scientifica riguardo alla sicurezza dei farmaci nelle persone più anziane sono generalmente più scarse, poiché le persone di età avanzata non vengono generalmente incluse nelle sperimentazioni cliniche sui farmaci.

Molti studi hanno dimostrato che almeno il 30–40% dei medicinali risulterebbe impropriamente prescritto nell’età avanzata, e, come diretta conseguenza, questa categoria va incontro ad un aumentato rischio di reazioni avverse e interazioni farmacologiche avverse.

È importante in questo contesto comprendere il concetto di “fragilità” dell’individuo, che insorge nel momento in cui un sistema corporeo perde la propria riserva funzionale, ovvero quella naturale “ridondanza” biologica che permette al fisico di reclutare risorse altrimenti sopite, per far fronte ad un problema particolarmente impegnativo. Fattori quali malattie concomitanti, o più semplicemente l’età, portano ad una condizione

di vulnerabilità, predisponendo allo squilibrio omeostatico.

In questa condizione, una sia pur lieve perturbazione, come ad esempio una prescrizione farmacologica, può avere effetti sproporzionati sul funzionamento e sul benessere di un individuo fragile, con un aumentato rischio di conseguenze avverse, tra cui cadute, fratture, ricoveri ospedalieri e mortalità.

Il concetto di fragilità si è rivelato difficile da tradurre in termini obiettivi nella pratica clinica. In effetti, non è chiaro se la fragilità debba essere considerata come uno stato di cose oggettivo o come tratto latente che può essere valutato solo indirettamente.

Sono stati proposte numerose definizioni di fragilità, una delle quali si basa su un criterio “fenotipico”, ovvero di apparenza effettiva; in tal caso sarebbe caratterizzata da bassa velocità di camminata, debolezza, affaticamento, scarsa attività fisica e perdita di peso immotivata. Queste caratteristiche non specifiche caratterizzano collettivamente una sindrome di fragilità, ed effettivamente si associano ad un aumento della mortalità.

Purtroppo, questa definizione risulta essere, di fatto, poco significativo, non potendo basare decisioni di natura terapeutica sulla base del riscontro di questi elementi.

Una definizione alternativa di fragilità segue il modello del “deficit cumulativo”, un approccio che porterebbe a calcolare un “indice di fragilità”

basato sul numero di deficit osservati nell’individuo, intesi come sintomi, segni, disabilità, patologie o test laboratoristici.

Anche questo approccio, però, ha i suoi limiti: esistono difficoltà nella raccolta dei dati necessaria per valutare lo stato e il grado di fragilità di un individuo, essendo spesso percepiti come ambigui oppure eccessivamente inclusivi. Oltretutto siamo molto lontani dal riuscire a calcolare quanto queste valutazioni sia sensibili, specifiche, o in ogni caso quantomeno affidabili. Ciò nonostante, molti studi recenti hanno dimostrato che il concetto di fragilità può essere utile sia nella pratica clinica che negli studi epidemiologici, perciò gli addetti ai lavori potrebbero trovare dei vantaggi nell’implementare questo strumento di valutazione, pur dovendo riconoscerne le inerenti limitazioni.

 

Gulliford, M. Frailty and Drug Safety at Older Ages.
Drug Saf 42, 699–700 (2019). https://doi.org/10.1007/s40264-019-00796-4

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