Psicosi nei pazienti con disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) trattati con metilfenidato e amfetamine

Una meta-analisi valuta il rischio di sviluppare episodi psicotici nei giovani in terapia con metilfenidato o amfetamine per la cura del disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD)

 

Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (Attention Deficit-Hyperactivity Disorder, ADHD) è una della condizioni più diagnosticate nei bambini e adolescenti nell’ambito psichiatrico. Farmaci ad azione psicostimolante quali metilfenidato e amfetamine sono indicati per questa condizione.
Tra le due tipologie di farmaco il metilfenidato è il più ampiamente prescritto nella maggior parte dei Paesi, con l’eccezione degli USA, dove le amfetamine sono prescritte più frequentemente.

L’efficacia di questi farmaci nel ridurre i sintomi dell’ADHD è ben comprovata, perlomeno nel breve termine. Al contrario, il dibattito è ancora aperto in merito al profilo di sicurezza, in particolare riguardo al rischio di sviluppare episodi psicotici, che rappresentano un’eventualità potenzialmente molto traumatica sia per il paziente che per la famiglia.

Una recente meta-analisi ha preso in considerazione 221846 pazienti tra i 15 e i 23 anni con diagnosi di ADHD a cui veniva prescritto metilfenidato o amfetamine, con lo scopo di valutare la prevalenza di nuovi episodi psicotici, identificati sulla base di eventuali prescrizioni di farmaci antipsicotici nel periodo di studio, successivamente all’inizio della terapia psicostimolante.

Si sono verificati un totale di 343 episodi (1 caso ogni 660, altrimenti 2.4 per 1000 anni-persona), di cui 106 (0.10%) nel gruppo metilfenidato e 237 (0.21%) nel gruppo amfetamine.

Questi risultati, tuttavia, non vanno considerati come definitivi: si tratta di uno studio di natura osservazionale, il che significa che certamente è valido per fornire dati statistici riguardo agli eventi avversi di un farmaco nella pratica clinica, però difficilmente è in grado di valutare il peso di eventuali altri elementi confondenti (bias).
A tal proposito, alcuni autori ipotizzano l’esistenza di una specifica vulnerabilità individuale nell’andare incontro ad episodi psicotici, il che rende difficile capire quando la psicosi è dovuta al farmaco, ad una tendenza costituzionale o all’interazione tra i due fattori.
Su questa stessa linea, un altro studio ha messo in evidenza una sostanziale differenza nel numero di episodi psicotici a seconda del medico prescrivente: quando si trattava di uno psichiatra si verificavano molti meno eventi (con una frequenza paragonabile alla popolazione generale) rispetto a quando i farmaci venivano prescritti da un medico di un’altra disciplina. Si può ipotizzare che gli psichiatri sarebbero in grado di identificare caratteristiche predisponenti nei propri pazienti, tali da indurli ad evitare la somministrazione di psicostimolanti laddove è presente un rischio maggiore.

Al di là di quanto detto, la Food and Drug Administration ha rilevato che i sintomi psicotici in questi casi sono di breve durata e si risolvono con la sospensione della terapia psicostimolante nella quasi totalità dei casi, anche senza ricorso a farmaci antipsicotici.

In conclusione, esiste una certa correlazione tra farmaci psicostimolanti e sviluppo di episodi psicotici, in special modo in corso di terapia con amfetamine.
Nonostante questo, gli effetti benefici di queste terapie, come ad esempio la capacità di ridurre la tendenza alla criminalità, ne giustificano ampiamente l’utilizzo.

Cortese S., “Psychosis during Attention Deficit-Hyperactivity Disorder Treatment with Stimulants”
The New England Journal of Medicine, Marzo 2019, https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMe1900502

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