L’uso di benzodiazepine e oppioidi nella BroncoPneumopatia Cronico-Ostruttiva (BPCO)

Benzodiazepine e oppioidi sono valide opzioni terapeutiche per trattare talune frequenti comorbidità nel paziente affetto da broncopneumopatia cronico-ostruttiva, tuttavia i clinici sono giustamente preoccupati che queste sostanze possano determinare eventi avversi che peggiorano la funzionalità polmonare, e non solo. Ancora non sono disponibili evidenze conclusive a riguardo, ma è verosimile che in alcune situazioni i benefici sulla qualità di vita surclassano di gran lunga i possibili rischi aggiunti sul rischio di ospedalizzazione e mortalità.

 

 

 

La dispnea, o mancanza di fiato, è una delle principali cause di riduzione della tolleranza allo sforzo e della qualità di vita al di sopra dei 65 anni. La broncopneumopatia cronico ostruttiva (BPCO), a sua volta, è la principale causa di dispnea, la quale è correlata sia al grado di severità della patologia sia alla mortalità.

Le sperimentazioni cliniche randomizzate hanno mostrato che le formulazioni a rilascio prolungato di morfina sono in grado di migliorare la dispnea cronica refrattaria. La stessa cosa non si può affermare con certezza a proposito delle benzodiazepine, per le quali l’evidenza clinica in tal senso non è definitiva. Ad ogni modo, entrambe queste categorie di farmaco hanno importanti indicazioni terapeutiche, quali il dolore cronico nel caso degli oppiacei e l’ansia nel caso delle benzodiazepine, entrambe condizioni cliniche che hanno un’alta prevalenza nei pazienti affetti da BPCO.

È importante, quindi, conoscere bene il profilo di sicurezza di questi farmaci: in effetti molti clinici sono frenati dal fatto che essi possano determinare numerosi eventi avversi, tra cui depressione respiratoria, confusione mentale, cadute accidentali, e probabilmente anche morte precoce in quei pazienti con un alto grado di compromissione polmonare.

Una recente meta-analisi ha stimato il rischio di ospedalizzazione e di morte nei pazienti con insufficienza respiratoria da BPCO e in terapia con benzodiazepine e/o oppioidi. In questo studio sono stati acquisiti i dati clinici di 2249 pazienti (di cui 59% femmine), sopra i 45 anni, che avevano iniziato terapia a lungo termine con ossigeno tra il 2005 e il 2009, in Svezia.

Di questi, il 24% faceva uso di benzodiazepine, il 23% di oppioidi, ed il 9% di entrambi.
Come si può osservare dal grafico seguente, che traccia la variazione dell’Hazard Ratio:

 

  • il trattamento a basse dosi (<30mg/die di equivalenti-morfina) con oppiacei non influisce né sul tasso di ospedalizzazione né sulla mortalità in pazienti affetti da BPCO ossigeno-dipendenti, indipendentemente dal fatto che questi fossero naive al trattamento con oppiacei, utilizzassero contemporaneamente benzodiazepine, o avessero ipercapnia.
  • Il trattamento con benzodiazepine non influisce sull’ospedalizzazione ma porta con sé un modesto incremento della mortalità.

Data la natura osservazionale dello studio in oggetto, non si può affermare che l’incremento del rischio sia la rappresentazione di un rapporto causa-effetto. In effetti, i pazienti che fanno uso di queste sostanze, mediamente, hanno un grado più severo di malattia e un numero maggior di comorbidità, perciò presentano “naturalmente” un maggior rischio di ospedalizzazione e mortalità. In ogni caso, gli autori sostengono che l’associazione rimane valida anche normalizzando per tutta una serie di fattori confondenti noti (età, sesso, etc.).

In conclusione, questo studio, pur non potendo dimostrare la sicurezza delle benzodiazepine e degli oppiacei nei pazienti affetti da BPCO severa, lascia pensare che non è strettamente necessario evitare questi trattamenti sulla base del rischio di causare depressione respiratoria e altre complicazioni, pertanto è importante valutare l’impatto sulla qualità di vita di eventuali comorbidità quali dolore cronico e ansia nel paziente affetto da BPCO, e intervenire quando necessario.

 

Ekström MP et al. “Safety of benzodiazepines and opioids in very severe respiratory disease: national prospective study”
British Medical Journal, 2014. doi: 10.1136/bmj.g445

 

 

 

 

 

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