Gli oppioidi sono comunemente utilizzati come analgesici; tuttavia, come ogni farmaco, possono produrre reazioni avverse ai farmaci (ADR), quali nausea, costipazione, dipendenza e depressione respiratoria, che si traducono in eventi dannosi e fatali. Pertanto, è essenziale monitorare la sicurezza di questi farmaci nella pratica clinica.
Questo studio si propone di caratterizzare il profilo di sicurezza degli oppioidi conducendo uno studio descrittivo basato su un sistema di segnalazione spontanea (SRS) delle ADR nei Paesi Bassi, concentrandosi su abuso, uso improprio, errori terapeutici e differenze tra i sessi.
Sono state analizzate le segnalazioni inviate al Centro di Farmacovigilanza olandese Lareb da gennaio 2003 a dicembre 2021 che contenevano un farmaco oppioide come farmaco sospetto/interagente. I rapporti di probabilità di segnalazione (ROR) per le combinazioni farmaco-ADR sono stati calcolati, analizzati e corretti per sesso e utilizzo dei farmaci (spesa) per la popolazione olandese.
Sono state analizzate 8769 segnalazioni. Il tramadolo è stato l’oppioide con il maggior numero di segnalazioni nel periodo (n = 2746), mentre l’ossicodone o il tramadolo hanno registrato il maggior numero di segnalazioni per anno nel periodo di studio. Le ADR da uso di oppioidi più frequenti sono state la nausea, seguita da vertigini e vomito, indipendentemente dal sesso, e tutte sono insorte più spesso nelle donne.
Il vomito associato al tramadolo (ROR femmine/maschi = 2,17) era significativamente maggiore nelle donne. La buprenorfina è stata responsabile della maggior parte delle ADR quando è stata corretta per la spesa, con ROR elevati osservati con l’ipersensibilità del sito di applicazione, reazione nel sito di applicazione e rash nel sito di applicazione. Il fentanil ha dato origine alla maggior parte delle segnalazioni di ADR relative ad abuso, uso improprio ed errori di medicazione.
I pazienti trattati con oppioidi hanno manifestato varie ADR, soprattutto nausea, vertigini e vomito. Per questo gruppo di farmaci, non sono state riscontrate differenze significative tra i sessi, ad eccezione del vomito associato al tramadolo. In generale, le ADR correlate agli oppioidi hanno presentato ROR più elevati rispetto ad altri farmaci. Si è registrata una maggiore sproporzione per le ADR relative ad abuso, uso improprio ed errori di terapia per gli oppioidi rispetto agli altri farmaci nell’SRS olandese.
Diversi studi hanno riportato un incremento della prevalenza dell’uso di oppioidi ,su prescrizione, tra le donne in gravidanza. Tuttavia, sono poco noti gli effetti conseguenti all’uso materno di oppioidi sui disturbi del neurosviluppo nella prima infanzia, anche in donne gravide che non presentano evidenti disturbi derivanti dall’uso di oppiodi o di tossicodipendenza.
Obiettivo
Lo scopo di questo studio è stato quello di quantificare l’associazione tra l’esposizione prenatale agli oppioidi derivante da uso materno in gravidanza su prescrizione medica e gli esiti di ciò sul neurosviluppo nella prima infanzia.
Metodi
Si tratta di uno studio di tipo retrospettivo, nel quale sono state incluse donne in gravidanza di età compresa tra i 12 e i 55 anni, le quali hanno partorito neonati vivi dal 2010 al 2012, i quali sono stati inseriti in seguito alla randomizzazione effettuata da Optum ed inseriti nel database “Clinformatics® Data Mart”. I neonati nati da madri senza disturbi derivanti dall’uso di oppioidi o tossicodipendenza sono stati definiti idonei allo studio e di conseguenza seguiti fino: all’insorgenza di disturbi del neurosviluppo, alla perdita del follow-up o alla fine dello studio (31 dicembre 2017), a seconda di quale evento si è verificato per primo. Lo score di propensione (deriva dalla probabilità che un paziente sia assegnato a un trattamento basato su covari noti) è stato applicato per ottenere una buona stratificazione del campione, attraverso l’applicazione di aggiustamenti derivanti da fattori confondenti come: le caratteristiche demografiche, le caratteristiche ostetriche, le comorbidità mentali e la condizione del dolore materne, e le misure del peso delle malattie e per ottenere hazard ratio aggiustati (HR) e intervalli di confidenza al 95% (CI). I neonati esposti e non esposti sono stati confrontati sull’incidenza dei disturbi del neurosviluppo.
Risultati
Su 24.910 neonati esaminati, il 7,6% (1899) è stato esposto in epoca prenatale agli oppioidi su prescrizione. Complessivamente, in 1562 bambini sono stati diagnosticati disturbi del neurosviluppo, con tassi di incidenza grezzi di 2.9 per 100 anni-persona nei bambini esposti contro 2.5 per 100 anni-persona nei bambini non esposti agli oppiodi in epoca prenatale. In seguito all’aggiustamento, non è stata osservata alcuna associazione tra l’esposizione fetale agli oppioidi e il rischio di disturbi del neurosviluppo (HR 1.10; 95% CI 0.92-1.32). Tuttavia, un aumento del rischio di disturbi del neurosviluppo è stato osservato nei bambini con una durata di esposizione cumulativa più lunga (HR 1.70; 95% CI 1.05-2.96) o alte dosi cumulative di oppioidi (HR 1.22; 95% CI 1.01-1.54).
Conclusione e rilevanza
Nelle donne in stato di gravidanza che non presentavano disturbi derivanti dall’uso di oppioidi o tossicodipendenza, l’uso materno di oppioidi su prescrizione per brevi periodi non è associato a un aumento del rischio di disturbi del neurosviluppo nella prima infanzia. Tuttavia, sono stati osservati maggiori rischi di disturbi precoci del neurosviluppo nei bambini nati da donne che hanno ricevuto oppioidi su prescrizione per una durata più lunga e a dosi più elevate durante la gravidanza.
Wen, X., Lawal, O.D., Belviso, N. et al. Association Between Prenatal Opioid Exposure and Neurodevelopmental Outcomes in Early Childhood: A Retrospective Cohort Study. Drug Saf (2021).
L’ipotensione ortostatica (OH) è una anormale caduta della pressione arteriosa in posizione eretta, definita da un calo della pressione arteriosa sistolica ≥ 20 mmHg o da un valore assoluto della pressione arteriosa sistolica ≤ 90 mmHg e / o da un calo della pressione arteriosa diastolica ≥ 10 mmHg entro 3 minuti in ortostatismo. L’OH è associata a un aumentato rischio di esiti avversi come sincope, cadute, deterioramento cognitivo e mortalità.
Numerosi farmaci cardiovascolari possono predisporre all’ ipotensione ortostatica, ed è stato dimostrato che la sospensione dei farmaci antipertensivi può ridurre la caduta della pressione arteriosa associata al cambiamento posturale. Tuttavia, i farmaci potenzialmente ipotensivi includono anche farmaci psicoattivi e oppioidi, che sono frequentemente prescritti negli anziani. I farmaci ipotensivi spesso si sovrappongono ad altri fattori di rischio come età avanzata, disfunzione autonomica neurogena e comorbidità, aumentando così il rischio di sintomi e complicanze. Nei pazienti con ipertensione ortostatica, la revisione della terapia farmacologica dovrebbe essere finalizzata a identificare tutti i farmaci che potenzialmente compromettono la pressione arteriosa ortostatica e rivalutare le loro indicazioni e benefici, al fine di valutare la sospensione o la riduzione della dose.
Recentemente è stata pubblicata una revisione narrativa sulla rivista Drugs & Aging, in cui è stata presentata una panoramica dei farmaci che agiscono sul sistema cardiovascolare e nervoso centrale che possono potenzialmente compromettere la risposta ortostatica della pressione arteriosa e fornisce suggerimenti pratici potenzialmente utili per guidare l’ottimizzazione della terapia medica nei pazienti con ipotensione ortostatica (OH). Inoltre, riassume le strategie disponibili per il trattamento farmacologico dell’OH in pazienti con sintomi persistenti nonostante gli interventi non farmacologici.
Tra i farmaci che agiscono sul sistema cardiovascolare, esaminati in questa revisione, troviamo:
-diuretici, considerati uno dei principali determinanti dell’ipotensione ortostatica correlata al farmaco e per i quali è riportata in diversi studi un’associazione significativa con questa reazione avversa;
-bloccanti dei recettori α, noto fattore di rischio per ipotensione ortostatica, che varia in base all’affinità delle singole molecole appartenenti a questa classe per i recettori α1B;
-nitrati;
-bloccanti dei recettori β, per i quali è dimostrato (in seguito all’analisi dei dati dell’Irish Longitudinal Study on Aging TILDA) un aumento del rischio di ipotensione ortostatica in monoterapia;
-clonidina, i cui effetti sulla pressione ortostatica sono finora poco studiati;
-calcio antagonisti, per i quali sono disponibili dati contrastanti riguardo all’ipotensione ortostatica, probabilmente a causa della eterogeneità delle molecole appartenenti a questa classe;
– inibitori ACE e bloccanti del recettore dell’angiotensina II, per i quali alcuni studi riportano un effetto protettivo.
L’articolo ha preso in considerazione i farmaci che agiscono sul sistema nervoso centrale predisponenti all’OH. Per gli antidepressivi, sono stati distinti gli effetti sull’ipotensione ortostatica dei triciclici, per i quali l’OH rappresenta l’effetto avverso cardiovascolare più comune; gli SSRI; i quali causano OH meno frequentemente rispetto ai TCA; gli SNRI e il trazodone, per il quale l’OH è maggiormente associata in pazienti con età avanzata o malattie cardiache.
Per le benzodiazepine, le prove sugli effetti emodinamici sono principalmente limitate ai contesti di terapia intensiva, riferendosi alla somministrazione endovenosa di BDZ nel contesto della sedazione o dell’anestesia. È stato dimostrato che le BDZ hanno un impatto significativo sulla risposta ortostatica della PA.
Tra gli altri farmaci che agiscono sul sistema nervoso centrale per cui è noto un aumento del rischio di OH sono stati esaminati: antipsicotici, oppioidi, antagonisti NMDA (memantina).
Oltre a una revisione della terapia medica, la strategia di prima linea per la gestione dell’OH è rappresentata da interventi non farmacologici tra cui l’idratazione, l’evitamento di fattori precipitanti per la bassa pressione sanguigna, l’applicazione di calze compressive o leganti addominali e il condizionamento fisico.
Tra le terapie farmacologiche disponibili, la droxidopa e la midodrina hanno mostrato risultati positivi in studi clinici controllati randomizzati e rappresentano le uniche molecole approvate dalla Food and Drug Administration per il trattamento dell’OH. Il fludrocortisone è comunemente prescritto a pazienti con OH neurogena, poiché è stato dimostrato che migliora la pressione arteriosa in ortostatismo e in clinostatismo.
Tra le opzioni di trattamento emergenti gli autori si soffermano su ocreotide, atomoxetina, desmopressina ed eritropoietina.
Lo studio ha analizzato l’efficacia di basse dosi di Litio Carbonato (150 mg) in aggiunta o come sostituto dei farmaci antidepressivi e antiansiosi di sintesi in un centro residenziale di trattamento delle dipendenze.
Nel Regno Unito, il National Institute for Health and Care Excellence (NICE) sta sviluppando le linee guida per le gestione del dolore cronico. Stupisce il fatto che l’evidenza scientifica volge a sfavore di tutta una serie di antidolorifici, e non solo, che diamo per scontati e che vengono comunemente utilizzati per trattare il dolore cronico primario.
Una recente analisi ha confermato alcune delle associazioni tra farmaci e suicidio già note, scoprendone al contempo di nuove, ma anche una sostanza che, sorprendentemente, sembra avere un ruolo protettivo.
Benzodiazepine e oppioidi sono valide opzioni terapeutiche per trattare talune frequenti comorbidità nel paziente affetto da broncopneumopatia cronico-ostruttiva, tuttavia i clinici sono giustamente preoccupati che queste sostanze possano determinare eventi avversi che peggiorano la funzionalità polmonare, e non solo. Ancora non sono disponibili evidenze conclusive a riguardo, ma è verosimile che in alcune situazioni i benefici sulla qualità di vita surclassano di gran lunga i possibili rischi aggiunti sul rischio di ospedalizzazione e mortalità.
La SIF ha pubblicato un Position Paper, che affronta le questioni dell’appropriatezza terapeutica, del rischio di dipendenza e confronta la situazione italiana con quella statunitense.
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