Sicurezza sull’utilizzo degli Anticoagulanti Orali Diretti (DOAC) in gravidanza: uno studio retrospettivo di coorte.

 Introduzione

Gli anticoagulanti orali diretti (DOAC) hanno ampiamente rimpiazzato gli antagonisti della vitamina K per molte indicazioni terapeutiche. Sono attualmente prescritti a milioni di pazienti, incluse donne in età riproduttiva. L’esposizione ai DOAC nelle prime fasi della gravidanza non è comune, tuttavia i dati sui rischi di tossicità embrionale sono scarsi. Gli autori hanno valutato il rischio teratogeno in un ampio campione di casi riportati.

Metodi

In questo studio di coorte retrospettivo gli autori hanno raccolto segnalazioni di casi clinici di esposizione ai DOAC in gravidanza ottenuti da ginecologi, ematologi e specialisti vascolari a partire dal maggio 2015. Gli autori hanno poi esportato i dati dai database di farmacovigilanza dei produttori di DOAC, dell’Agenzia Europea del Farmaco, dall’Autorità tedesca sui farmaci e dall’americana Food and Drug Administration, cercando segnalazioni di esposizione in gravidanza. Sono stati ottenuti dati dal registro dell’International Society of Thrombosis and Haemostasis (ISTH) e dal Teratology Information Service (TIS) di Ulm in Germania. È stata poi condotta una ricerca sistematica in letteratura nel luglio 2020 per individuare casi di esposizione ai DOAC. I dati sono stati confrontati con quelli già in possesso dagli autori del 2016 e sono stati esclusi duplicati. Le anomalie fetali o neonatali sono state classificate come difetti maggiori alla nascita secondo la classificazione European Concerted Action on Congenital Anomalies and Twins (EUROCAT) e giudicati in quattro categorie in relazione all’esposizione ai DOAC come probabile, possibile, improbabile o non correlato.

Risultati

Gli autori hanno identificato 1193 segnalazioni di esposizione ai DOAC durante la gravidanza; 49 riportate dai medici, 48 dal registro ISTH, 29 dal TIS, 62 dall’Autorità tedesca dei farmaci, 536 da Bayer (estratti dal sistema di farmacovigilanza della Bayer, da VigiBase dell’OMS e dal Sistema di Segnalazione degli eventi avversi di FDA), 87 da Boehringer Ingelheim, 16 da Daiichi Sankyo, 98 dalla ricerca in letteratura, 2 dalla FDA, 10 dal Risk Evaluation Strategy Review, e 256 dalle segnalazioni dell’EMA. Dopo aver escluso i potenziali duplicati, sono stati identificati 614 casi unici di esposizione ai DOAC in gravidanza che si sono verificate tra il 1° febbraio 2007 e il 9 luglio 2020. Esse riguardavano il rivaroxaban in 505 (82%) gravidanze, dabigatran in 36 (6%), apixaban in 50 (8%) e edoxaban in 23 (4%) gravidanze. La durata dell’esposizione mediana ai DOAC in gravidanza è stata di 5,3 settimane (IQR 4,0 – 7,0). Le informazioni sull’esito delle gravidanze erano disponibili per 336 (55%) su 614 gravidanze: 188 (56%) di neonati nati vivi, 74 (22%) di aborto spontaneo, 74 (22%) di aborto indotto. Tra le 336 gravidanze di cui era noto l’esito, 21 (6%; CI 4-9) hanno manifestato anomalie fetali, tra le quali 12 (4%; 2-6) sono state giudicate come difetti congeniti maggiori, che potrebbero essere potenzialmente correlati all’esposizione ai DOAC in gravidanza.

Interpretazione

Sebbene le segnalazioni di eventi avversi in seguito all’esposizione in gravidanza ai DOAC siano carenti per quanto riguarda importanti dettagli e si riferiscono principalmente all’esposizione al rivaroxaban, i dati al momento disponibili non suggeriscono che l’utilizzo degli anticoagulanti DOAC in gravidanza determini un maggior rischio di patologie embrionali. Le linee guida ISTH del 2016 sconsigliano l’induzione dell’aborto in caso di esposizione ai nuovi anticoagulanti orali in gravidanza, in quanto la paura di una possibile tossicità embrionale non è giustificata. Viene invece raccomandata una stretta sorveglianza della gravidanza. Infine, i dati sull’esito delle gravidanze provenienti dai database di farmacovigilanza sono insufficienti perciò vi è la necessità di un miglior sistema di segnalazione.

Bibliografia

Beyer-Westendorf J, Tittl L, Bistervels I, Middeldorp S, Schaefer C, Paulus W, Thomas W, Kemkes-Matthes B, Marten S, Bornhauser M. Safety of direct oral anticoagulant exposure during pregnancy: a retrospective cohort study. Lancet Haematol. 2020 Dec;7(12): e884-e891. PMID: 33242445.

E’ possibile leggere l’abstract originale dell’articolo qui.

Utilizzo di nimesulide durante il primo trimestre di gravidanza e rischio di malformazioni congenite: uno studio di popolazione italiano.

https://link.springer.com/article/10.1007/s12325-018-0735-8

Introduzione.

Nimesulide è l’antinfiammatorio non-steroideo più prescritto in Italia ed è al momento in commercio in circa 50 paesi nel mondo. L’associazione tra l’uso di nimesulide nella prima fase della gravidanza e il rischio di difetti alla nascita è stata oggetto di un’indagine che ha considerato un’ampia coorte di donne italiane in gravidanza.

Metodi.

I dati che sono stati raccolti provenivano dai database sanitari di utilizzazione dei farmaci in possesso della Regione Lombardia. In particolare, sono stati utilizzati i dati contenuti nei database regionali che includevano: (1) dati amministrativi-demografici, (2) schede di dimissione ospedaliera con i codici ICD-9 sulla diagnosi primaria, le malattie concomitanti e le procedure eseguite, (3) le prescrizioni di farmaci ai pazienti esterni all’ospedale che includevano la classificazione ATC per i farmaci rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale, (4) certificati di assistenza al parto che contenevano una dettagliata descrizione delle informazioni mediche riguardanti la gravidanza, la nascita e la presentazione del bambino al parto. È stato usato un codice identificativo unico per tutti i database: la connessione dei registri ha consentito di avere a disposizione un’ampia e non-predeterminata coorte di nascite e di poter così stabilire tratti rilevanti di madri e bambini.

È stata analizzata una coorte di 353,081 neonati nati in Lombardia tra il 2005 e il 2010. Sono stati presi in considerazione un’esposizione alla nimesulide durante il primo trimestre di gravidanza così come le malformazioni congenite rinvenute alla nascita e durante i primi 90 giorni dopo il parto (esiti). È stata quindi misurata l’associazione tra esposizione ed esito mediante il rapporto tra la prevalenza delle malformazioni congenite tra le utilizzatrici e le non utilizzatrici di nimesulide in gravidanza.

La stratificazione del punteggio di tendenza (propensity score) è stata usata per controllare le potenziali variabili di confondimento che includono le comorbidità mediche materne, i farmaci concomitanti e le caratteristiche sociodemografiche.

Risultati.

Non è stata trovata un’associazione tra l’uso della nimesulide e malformazioni congenite globalmente considerate, o il verificarsi di malformazioni circolatorie, respiratorie, muscolo-scheletriche, genitali, digestive, del sistema nervoso centrale, dell’occhio, dell’orecchio, della faccia e del collo. L’evidenza era debole e non significativa per le malformazioni congenite nel complesso (rapporto di prevalenza aggiustato 1.2, 95% CI 0.9–1.6).

Le 627 (0.18%) donne che ricevevano prescrizioni per nimesulide nel primo trimestre di gravidanza avevano un rischio 2.6 volte più elevato di avere un figlio con anomalie congenite del tratto urinario in paragone a coloro che non ricevevano il farmaco (rapporto di prevalenza aggiustato 2.6; 95% CI 1.2–5.7).

Conclusioni

Lo studio degli autori suggerisce che l’uso di nimesulide nel primo trimestre di gravidanza potrebbe essere associato ad un maggiore rischio di avere figli con anomalie congenite del tratto urinario.

Bibliografia

Cantarutti A, et al., Use of Nimesulide During Early Pregnancy and the Risk of Congenital Malformations: A Population-Based Study from Italy. Adv Ther. 2018 Jul;35(7):981-992. È possibile leggere l’abstract dello studio qui.

LinkedIn
Share
Instagram
WhatsApp