Rischi ed eventi avversi collegati all’automedicazione

La pratica dell’automedicazione è un fenomeno assai diffuso, che attualmente sta attraversando un rapido sviluppo. Mentre i rischi teorici dell’automedicazione sono stati ampiamente discussi in letteratura in realtà esistono pochi dati dettagliati sulla farmacovigilanza riguardanti le caratteristiche e le conseguenze di questo utilizzo nella vita reale. Uno studio francese si è occupato di descrivere i pochi dati disponibili, nonchè la direzione da seguire al fine di ridurre al minimo i rischi terapeutici, che ovviamente non sono ben noti e chiaramente non sufficientemente segnalati.

 

Il termine automedicazione si presta a numerose definizioni, ma in primo luogo per essa si intende il ricorso a uno o più farmaci senza il parere di un medico. Si tratta di un fenomeno in aumento, che non riguarda soltanto i comuni “farmaci da banco”, ma anche quelli soggetti a prescrizione medica, prescritti ad esempio per un’altra patologia o per un’altra persona. In questo caso si tratta di un riutilizzo di farmaci che si trovano spesso nell’armadietto dei medicinali della famiglia o oggi acquistati frequentemente su Internet.

I farmaci con prescrizione medica facoltativa comprendono farmaci di consumo pubblicizzati dai media, prodotti venduti su consulenza per i quali la pubblicità è limitata al negozio di farmacia e, infine, un gran numero di farmaci per i quali non è consentita la pubblicizzazione.

Questa pratica risulta diffusa anche tra le donne in gravidanza, il che sottolinea il fatto che anch’esse non sono adeguatamente informate sulle caratteristiche dei farmaci e i rischi legati al loro uso durante la gestazione.

I motivi principali per la scelta dell’automedicazione sono diversi, sia legati all’organizzazione del sistema sanitario (difficoltà nell’ottenere un appuntamento con un medico, situazione finanziaria sfavorevole, facile accesso ai farmaci), sia strettamente legate al livello educativo e al profilo psicologico dell’individuo (convinzione che la patologia abbia un’importanza secondaria, la sensazione di aver avuto sintomi simili che lui / lei sa come trattare, la paura di sentirsi dire che si tratta di una malattia grave, una paura che tuttavia non mina il desiderio del paziente di curarsi).

I rischi teorici dell’automedicazione sono numerosi: innanzitutto, l’automedicazione implica l’autodiagnosi, col rischio quindi che il paziente possa ritardare il trattamento medico per una malattia che potrebbe essere  anche grave; in secondo luogo la scelta del farmaco per automedicazione può essere inadatta, portando a un rischio di inefficienza e alla progressione della malattia; ancora, vi è il rischio di sovradosaggio dovuto all’accumulo dello stesso componente attivo; il rischio di interazione e di effetti collaterali del farmaco che possono diventare “gravi”; infine, l’abuso di sostanze o addirittura dipendenza. Esempio tipico sarebbero i decongestionanti nasali, a causa delle loro proprietà simpaticomimetiche dirette (“simili all’anfetamina”)

Mentre numerosi articoli discutono ampiamente dei pericoli dell’automedicazione in generale, è sorprendente vedere che pochi sondaggi e studi pubblicati forniscono dati effettivi sugli effetti avversi dell’automedicazione, le sue caratteristiche, le caratteristiche dei pazienti coinvolti e i farmaci implicati.

In considerazione dell’assenza di altri dati sugli effetti avversi dell’automedicazione, un team di ricercatori francesi si è occupato di esplorare gli effetti avversi delle pratiche di automedicazione registrate nel Midi- Banca dati sulla farmacovigilanza dei Pirenei per un periodo di 7 anni (dal 2008 al 2014). Tra le oltre 12.000 notifiche durante questo periodo, l’1,3% era correlato all’automedicazione, coinvolgendo 286 farmaci diversi e 275 eventi avversi correlati ai farmaci. In più di tre quarti dei casi (122 eventi), l’evento avverso è stato “grave”, ad esempio 91 ricoveri e 6 effetti avversi potenzialmente letali. Si è verificato solo un evento avverso fatale, riguardante una donna incinta che andò incontro ad aborto spontaneo in seguito all’utilizzo di oli essenziali. L’età media di questi pazienti era di circa 50 anni, con una leggera prevalenza per questo tipo di evento tra le donne (56%). Gli effetti avversi più frequenti sono stati gastrointestinali (21%, in particolare nausea, vomito, dolore), neuropsichiatrici (21%, in particolare sedazione e confusione), generalizzati (11%, in particolare cadute o svenimenti) e infine cutanei (11 %).

Tra le sostanze “incriminate”, quasi la metà era stata precedentemente prescritta e riutilizzata secondariamente senza consultare un medico. Tuttavia, gli autori hanno sottolineato difficoltà di confronto, poiché gli studi sono stati condotti in condizioni diverse e avevano vari metodi e obiettivi, e sono stati usati criteri diversi per definire e misurare l’automedicazione. È tuttavia possibile affermare che gli eventi avversi derivanti dall’automedicazione possono essere “seri”, e che vi sia un’insufficiente notificazione di eventi avversi risultanti dall’automedicazione.

Nel complesso gli studi concordano su tre classi di farmaci che sono le più frequentemente implicate: i FANS prima di tutto, antidolorifici e benzodiazepine. Vale la pena ricordare che le benzodiazepine sono disponibili solo su prescrizione medica, sottolineando la portata del riutilizzo di farmaci con effetti avversi. Infine, non va sottovalutato il ruolo svolto dalle fitoterapie e dei prodotti omeopatici.

Alla luce di questi rischi, sono state suggerite diverse linee di approccio per minimizzare i rischi e ottimizzare i benefici dell’automedicazione: rafforzare i sistemi di sorveglianza, favorire la notifica spontanea dell’automedicazione agli organismi di farmacovigilanza, stabilire partenariati paziente-medico-farmacista per educare e informare il grande pubblico sull’automedicazione, sensibilizzando sui rischi e sui pericoli di uso improprio e abuso. Gli operatori sanitari dovrebbero svolgere un ruolo predominante nel guidare i comportamenti di automedicazione nel pubblico in generale.

In conclusione, da questa revisione dei risultati della farmacovigilanza sull’automedicazione emerge la necessità di altri studi farmaco-epidemiologici in contesti di vita reale per valutare il rischio – buon equilibrio di questa pratica in entrambe le sue forme – l’uso di sostanze non prescritte e il riutilizzo di sostanze prescritte in precedenza.

 

Montastruc J-L, et al. “Pharmacovigilance, risks and adverse effects of self-medication.”
Therapie (2016), http://dx.doi.org/10.1016/j.therap.2016.02.012

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